Giovanni Degli Esposti
- 12/03/2012 10:23:00
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E un componimento importante, Bianca, quasi un poema (o lavvio di un poema). Limmagine della donna sarda è scolpita a tratti crudi e realistici, con versi affilati e taglienti (quasi colpi di scure), e si incastona nella storia stessa della tua bellissima isola. Ritrovo le tinte forti dellamore, del dolore, della passione e del tradimento... in sintesi: quasi della tragedia, che hanno caratterizzato lo stile "verista" della tua illustre co-isolana: Grazia Deledda. Ho riscontrato anche un respiro molto più ampio che spazia sullisola, dai nuraghi fino ai giorni nostri, e mi sembra di ri-trovarvi le tonalità arcaiche con cui Pablo Neruda ha intessuto il suo "Canto General" dedicato al Cile e a tutte le culture precolombiane (il tuo accenno alleldorado mi richiama la Colombia e la sua gente... e anche le sue donne orgogliose e forti). Il centro del canto nerudiano è la cultura "india", perseguitata e discriminata, il centro dei tuoi versi è la donna sarda, vittima di uguali discriminazioni. Però il discorso, come tu dici alla fine, esce dalle coste rocciose della tua isola per: "...diventare pure noi gente duna umanità più vasta e non meno inquieta." Ma soprattutto nel "farci mondo" e: "... conoscerci e riconoscerci nel simile e nel dissimile..." Soprattutto nel dissimile, Bianca, al di là di ogni bieco "razzismo" e discriminazione. E questa la speranza... lalba nuova con cui sembra chiudersi il tuo canto. Ponendo, oggi come non mai, in rilievo la figura e la dignità della donna, da sempre "matrice" di umanità e troppo spesso misconosciuta. Unalba nuova? Speriamoci, con forza.
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